GAZA, TRA TREGUA E INVASIONE

Al Cairo si negozia la tregua mentre Israele prepara l’offensiva su Rafah. Intanto nelle università americane cresce la protesta degli studenti contro la guerra.

A sei mesi dall’inizio della guerra una linea sottile divide il cessate il fuoco dall’offensiva finale su Rafah. Oggi una delegazione di Hamas sarà al Cairo per rispondere all’ultima proposta di Israele per una tregua sulla Striscia, in cambio della liberazione di alcuni degli ostaggi tuttora nelle mani del movimento armato. Obiettivo della proposta allo studio nella capitale egiziana è anche quello di ritardare la presunta offensiva su Rafah ritenuta imminente da parte delle forze armate israeliane. La proposta è stata concordata con Israele, scrive il Wsj, e prevede un’iniziale pausa dei combattimenti che sarebbe poi estesa dai mediatori. Non è chiaro, affermano i funzionari egiziani, se questa pausa porterà alla fine della guerra. Intanto almeno 13 palestinesi sono stati uccisi in raid israeliani sulla città meridionale dell’enclave, al confine con il Sinai. Lo hanno comunicato fonti mediche palestinesi, secondo cui gli attacchi su tre abitazioni hanno provocato anche un numero imprecisato di feriti. Anche la diplomazia è in pressing: ieri sera in una telefonata il presidente Usa Joe Biden ha ribadito al premier israeliano Benjamin Netanyahu la contrarietà di Washington all’ipotesi di far avanzare le truppe israeliane nella città meridionale della Striscia, mentre il segretario di stato Antony Blinken ha iniziato oggi il suo tour in Medio Oriente che lo porterà in Arabia Saudita e in Israele.

Il governo scricchiola?

Mentre proseguono i negoziati, avanzano anche i preparativi per l’evacuazione dei civili di Rafah, in vista di un attacco che potrebbe avvenire “entro poche settimane”, secondo funzionari israeliani. Il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, ha detto che il governo sarebbe d’accordo a rinviare l’incursione se fosse raggiunto un accordo per gli ostaggi: “Se ci sarà un’intesa, sospenderemo l’operazione”, ha detto Katz, ma ha aggiunto che un’eventuale tregua non dovrebbe danneggiare l’obiettivo di eliminare Hamas “sia come forza militare che come forza di governo a Gaza”. Emergono intanto divisioni sempre più forti dentro il gabinetto di guerra israeliano, dove l’estrema destra ha minacciato la stabilità della coalizione se il governo del premier Netanyahu dovesse accettare di scendere a patti con il movimento armato palestinese. “L’accordo egiziano comporta una pericolosa capitolazione israeliana e una terribile vittoria per i terroristi”, ha scritto venerdì su X il ministro delle finanze ultranazionalista Bezalel Smotrich. Al contrario, il ministro Benny Gantz ha detto che se gli esponenti più oltranzisti del governo si opponessero a un’intesa per la liberazione degli ostaggi  l’esecutivo “non avrebbe più il diritto di esistere”. Hamas chiede il completo ritiro militare israeliano dall’enclave costiera ormai distrutta mentre continua a tenere in ostaggio 133 israeliani, almeno 35 dei quali, secondo l’intelligence israeliana, sarebbero già morti.

Leader israeliani a rischio arresto?

Intanto Israele teme che la Corte penale internazionale (Cpi) spicchi un mandato di arresto nei confronti di diversi funzionari israeliani di alto profilo, accusati di aver impedito la consegna di aiuti umanitari alla Striscia di Gaza e di aver perseguito una risposta eccessivamente dura agli attacchi del 7 ottobre scorso. Lo hanno riferito fonti anonime al New York Times aggiungendo di ritenere che i nomi del primo ministro Benjamin Netanyahu, del ministro della Difesa Yoav Gallant e del capo delle Forze armate Herzl Halevi, figurerebbero nella lista. I funzionari israeliani non hanno rivelato la natura delle informazioni che la Cpi si è rifiutata di commentare. La corte starebbe valutando di spiccare mandati di arresto anche per i leader di Hamas. Per evitare quella che agli occhi di molti apparirebbe come un’umiliante condanna morale nei confronti di Israele, Netanyahu starebbe conducendo una “pressione telefonica senza sosta”. Washington dal canto suo, secondo quanto riporta il sito israeliano Walla, starebbe tentando “un disperato sforzo diplomatico” per aggirare il colpo e con esso, il conseguente deterioramento dello status internazionale di Israele. La scorsa settimana Netanyahu aveva definito oltraggiose le indagini della Corte penale internazionale, affermando che avrebbero creato un pericoloso precedente. Il ministro degli Esteri Katz ha invitato le ambasciate israeliane a prepararsi – nel caso venissero emessi i mandati d’arresto – a “un’ondata antisemita, antiebraica e anti-israeliana” in tutto il mondo.

Da Gaza alle università Usa?

Il riferimento, neanche troppo velato, è all’intensificarsi di sit-in e occupazioni nei campus universitari Usa, epicentro di un movimento di protesta che non si vedeva dalle manifestazioni contro la guerra in Vietnam della fine degli anni ’60. Quasi duecento manifestanti sono stati arrestati nelle scorse ore alla Northeastern University di Boston, all’Arizona State University e all’Indiana University, per le proteste pro-Gaza. In totale sono più di 700 le persone arrestate nei campus americani, mentre si alza il livello di tensione e di scontro con la polizia e i vertici universitari sono sempre più in difficoltà. Nuove richieste di dimissioni sono state rivolte alla rettrice della Columbia University, Minouche Shafik, accusata di non aver saputo gestire la situazione in una delle università più prestigiose degli Stati Uniti. Sarebbe stata proprio la sua decisione, il 18 aprile scorso, di far intervenire la polizia per sgomberare il primo ‘Gaza Solidarity encampement’ a innescare un moto di sdegno che si è propagato come una scarica elettrica negli atenei di tutto il paese. La conseguenza è stata il sorgere di decine di movimenti di protesta che dalla costa est a quella ovest ora provocano imbarazzo e divisioni in seno ai democratici e rischiano di trasformarsi in una vera e propria trappola elettorale, in vista delle elezioni di novembre.

Tratto da ISPI

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*