DRAGHI E GLI STATI UNITI D’EUROPA

L’ex presidente della Bce parla delle sfide per la competitività e per costruire l’Europa di domani, ma avverte: “serve un cambiamento radicale”.

Il mondo è cambiato, dobbiamo cambiare anche noi. Il discorso di Mario Draghi alla Conferenza europea sui diritti sociali ieri a La Hulpe, in Belgio, è insieme una fotografia del continente, un manifesto geopolitico e un campanello d’allarme. Anticipando i contenuti del report sulla competitività – che sta preparando su richiesta della presidente Ursula von der Leyen e che dovrebbe essere pubblicato dopo le elezioni europee di giugno – l’ex presidente della Bce dice chiaro e tondo che all’Europa serve “un cambiamento radicale”. In un intervento dai toni alti ma decisamente concreti, Draghi sottolinea che “il nostro processo decisionale e i nostri metodi di finanziamento sono stati concepiti per il mondo di ieri”, un mondo cioè “pre-Covid, pre-Ucraina, pre-conflagrazione in Medio Oriente” e precedente al “ritorno delle rivalità tra grandi potenze”. Alla luce delle trasformazioni prodotte da questi eventi, fa capire l’ex premier italiano, l’Unione europea dovrà adattarsi, e non sarà un cambiamento indolore: nel suo discorso evoca cessione di sovranità, un mercato comune degli investimenti privati, una politica economica e fiscale che superi i governi nazionali, avvertendo che la trasformazione va iniziata subito. E se c’è chi resiste, avverte, bisognerà “procedere con un sottoinsieme di Stati membri”, perché il domani è ora e “non possiamo permetterci il lusso di ritardare le risposte”.

Superare gli errori del passato?

L’errore dell’Europa, secondo l’ex presidente del Consiglio è di aver guardando troppo al proprio interno e poco verso l’esterno: “Non abbiamo prestato sufficiente attenzione alla nostra competitività all’estero come una questione politica seria”. Nel frattempo, le cose sono cambiate “cogliendoci di sorpresa” anche perché alcuni attori “non rispettano più le regole”. Draghi non esita a citare la Cina, che “mira a catturare e internalizzare tutte le parti della catena di approvvigionamento di tecnologie verdi e avanzate e sta garantendo l’accesso alle risorse necessarie”. Mentre gli Stati Uniti “stanno usando una politica industriale su larga scala per attrarre capacità manifatturiere nazionali di alto valore all’interno dei propri confini, compresa quella delle aziende europee, mentre utilizzano il protezionismo per escludere i concorrenti e dispiegano il proprio potere geopolitico per riorientare e proteggere catene di approvvigionamento”. Al loro confronto l’Europa “non ha mai avuto una strategia industriale equivalente a livello Ue” e nonostante gli sforzi della Commissione “ci manca una strategia su come tenere il passo nella corsa, sempre più spietata, per la leadership nelle nuove tecnologie” osserva Draghi, come pure “su come proteggere le nostre industrie tradizionali da condizioni di disparità globali”.

Una strategia su tre pilastri?

Nel suo discorso, l’ex presidente della Bce non solo individua punti deboli e criticità ma delinea tre filoni sui quali l’Europa deve impegnarsi con urgenza per rispondere alle nuove sfide: Il primo è favorire le economie di scala superando la frammentazione del mercato in settori strategici come quello dell’energia, della difesa e delle telecomunicazioni. Non è possibile, ad esempio, che in Europa ci siano 34 gruppi di reti mobili a fronte de tre presenti negli Stati Uniti e dei 4 in Cina. Le economie di scala – sottolinea Draghi – sono fondamentali anche “per le imprese giovani che generano le idee più innovative”. Il loro modello di business dipende “dalla capacità di crescere rapidamente e commercializzare le proprie idee, il che a sua volta presuppone l’esistenza di un grande mercato interno”. Il secondo filo conduttore è la fornitura e il finanziamento di beni pubblici. “Ci sono investimenti di cui tutti beneficiamo, ma che nessun paese può sostenere da solo: in questi casi avremmo tutte le ragioni per agire insieme, pena il rischio di non essere all’altezza delle nostre esigenze— ad esempio sul fronte del clima, nel campo della difesa e anche in altri. Terzo e ultimo filone è garantire l’approvvigionamento di risorse e input essenziali. “Se vogliamo raggiungere i nostri obiettivi in materia di clima senza aumentare la nostra dipendenza da paesi sui quali non possiamo più contare, avremo bisogno di una strategia globale che copra tutte le fasi della catena di approvvigionamento dei minerali critici” ha detto Draghi citando oltre alle risorse anche la questione, centrale, della manodopera. “Con l’invecchiamento della società e un atteggiamento meno favorevole nei confronti dell’immigrazione, dovremo trovare queste competenze al nostro interno. Sarà necessario lavorare da più parti per assicurare la disponibilità delle skill necessarie e definire percorsi flessibili di miglioramento delle competenze”.

Un nuovo partenariato?

Una fotografia, quella tratteggiata dall’ex governatore, riflessa anche nelle previsioni pubblicate ieri dall’Fondo monetario internazionale (Fmi) secondo cui l’economia globale cresce ma lentamente e, soprattutto, in modo diseguale. Così mentre la Cina rallenta, gli Stati Uniti spingono la produzione mondiale e l’Europa, in affanno, arranca e resta fanalino di coda delle grandi potenze globali. “Considerata l’urgenza della sfida che abbiamo davanti, osserva Draghi, non possiamo concederci il lusso di rimandare a una futura revisione del Trattato le risposte a tutte queste importanti questioni”. Detto altrimenti, la questione dell’unanimità potrebbe prendere più tempo di quanto ne abbiamo a disposizione. Se così fosse, avverte “dovremmo essere pronti a prendere in considerazione la possibilità di procedere con un sottoinsieme di Stati membri”. Pur sottolineando che si dovrebbe agire insieme, possibilmente sempre, “dobbiamo essere consapevoli che oggi la nostra stessa coesione politica è minacciata dai cambiamenti in atto nel resto del mondo”. Non è la prima volta che Draghi bacchetta l’Europa e i suoi leader, ma tempi e toni del messaggio stavolta tradiscono l’urgenza di un cambio di passo ritenuto indispensabile di fronte al nuovo panorama geopolitico, economico e tecnologico. “I nostri concorrenti sono in vantaggio perché possono agire ciascuno come un paese unico con un’unica strategia – ha chiosato Draghi – Se vogliamo raggiungerli, avremo bisogno di un nuovo partenariato tra gli Stati membri, una ridefinizione della nostra Unione non meno ambiziosa di quella operata dai Padri Fondatori 70 anni fa con la creazione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio”.

Tratto da ISPI

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*